sabato 31 luglio 2010

Meditatio aestatis - I

Estate piena, profonda, nera, apicale. Caldo, canicola, afa. Brezza, acquazzone, grandine. Tutto procede come da manuale, un manuale strano e babilonico nelle mani di una non meglio identificata divinità. La pelle a tratti s'attacca alla pelle, umana, animale, conciata, sessuale. Scegliete voi la combinazione. Io al momento rientro nella casistica schiena-divano. Rientro anche in altre casistiche, più socialmente rilevanti: coppie scoppiate, neolaureati triennali, popolo delle città disabitate, giovani che non credono alla politica, futuri emigranti in paesi stranieri non tanto migliori dell'Italia ma che così appaiono, scrittori che non perdono tempo a non definirsi tali e che continuano a maltrattare le Camene che non si concedono loro. Più rilevanti, meno interessanti. La mia pelle adesa a quella del divano, per il sudore, non per l'usura, quando cerca di staccarsi s'arrossa e si irrita. La mia pelle si irrita spesso. Si irritava spesso, per meglio dire. Ora solo quando prendo tanto sole. E l'estate è fatta un po' per prendere il sole, sarà per questo che ce l'ha con me.
Giornata in piscina, io che studio la parabola del sole, sperando di accelerarla col mio scrutare, mentre sfoglio gli "Studi su Dante" di Auerbach (dopo dieci pagine smetto e mi metto a leggere Tex), un paio di bonazze isteriche poco lontano, già nere (e perché cazzo venite in piscina, se neanche toccate l'acqua, sgualdrine laide che altro non siete?), qualche vecchia gallina, i turisti troppo zelanti, i belli e maledetti cultori dell'epa tartarugata: difficilmente mi viene in mente un'immagine più triste; e alludo soprattutto a me stesso, sia chiaro. Bè. L'estate è questa.
Questo non è evidentemente l'anno dei pellegrinaggi e delle esplorazioni, non per me. La vena claustrale ha preso, mio malgrado, il sopravvento, quest'anno. Come ha preso il sopravvento l'asindeto, a quanto vedo, in queste righe.
Lo stilnovismo tragico di Cavalcati e il suo averroismo, a tratti mi rubano a questo perpetuo happy hour. Publio Nasone mi strappa un sorriso d'intesa. I social network (non networks, in italiano non si mette la "s" alla fine delle parole inglesi plurali) dovrebbero darmi fastidio, non so. Non si addicono al tipo dello spocchioso intellettuale conservatore vetusto elitario che mi si addice tanto bene. Ma mi stanno quasi simpatici, alla fine Eraclito voleva custodire la sua opera negli anfratti di un tempio, cosicchè noi diciamo "oh, Eraclito, che spirito aristocratico e sopraffine, ha nascosto al volgo la sua opera, perchè troppo elevata", quando alla fine i frammenti ce li abbiamo lo stesso. Mi piace questo elemento. Quindi pure io faccio così, pubblico cose inutili per darmi un tono.
Mi manca qualcosa, mi manca più di qualcosa, questa estate, ma "nasconderò [...] il vuoto che avanza", in qualche modo.
Vedo che pure l'ultima parvenza di para-letterarietà mi abbandona, meglio continuare un'altra volta.

domenica 4 luglio 2010

Iudicium - "Di questa vita menzognera"


Lo so. Non vale continuare a riciclare cose vecchie. Ma, come avrete visto, non c'è proprio niente di nuovo su cui scrivere...

Non vi ho mai parlato di uno dei miei romanzi preferiti. Che è stato scritto, piuttosto in controtendenza rispetto ai miei gusti, in questo decennio. "Di questa vita menzognera" (Feltrinelli 2003) è un grande libro per tanti motivi: innanzitutto per l'enorme cultura di Giuseppe Montasano, cultura letteraria, filosofica, popolare, politica... Montesano incasella questi tasselli iper-intellettuali in un enorme mosaico di citazioni e rimandi, con maestria e precisione; inoltre per la carrellata di personaggi, alcuni caratterizzati simbolicamente, altri psicologicamente, altri ancora in modo molto più ambiguo ed interessante (il dandy Cardano, in eterno bilico fra essere e apparire, mentire e giurare), ma tutti indimenticabili nella loro umanità grottesca; poi l'attualità, ingigantita ed esagerata ma mai distorta, con una gran dose di fantasia tutt’altro che gratuita; infine lo stile, secco, teso, mordace, vissuto (magistrale l'uso del discorso indiretto): la tastiera di Montesano tocca un po’ tutti i registri, dal tragico al demenziale al poetico, con numerose contaminazioni (anche dialettali).

La società, ci dice Montesano, imbocca strade pericolose: il popolo è un gregge pronto a seguire il primo che passa; la classe dirigente, incarnata nella famiglia dei Negromante, ben lungi dall’essere illuminata, è pacchiana, arrogante e criminale; gli oppositori individualisti, flebili fiammelle che splendono nell’oscurità generale (il dandy Cardano, l’evangelico Andrea, Bianca, Nadja, il misterioso Scardanelli) sono falliti cronici, quasi per statuto.
Ci sono speranze per il mondo di oggi? E’ ancora possibile salvarsi dalla falsità e dalla corruzione imperanti, come auspica Scardanelli, “perché una rosa è una rosa, il pane è il pane, la bellezza è la bellezza”? Forse la risposta è nella poesia di Blok da cui Montesano prende il titolo del suo romanzo:

"Ma di questa vita menzognera
cancella l'untuoso rossetto
e, come talpa timida, nasconditi
sotto terra alla luce ed impietrisci,
tutta la vita odiando con ferocia
e tenendo in disprezzo questo mondo,
e anche non vedendo l'avvenire,
dì no ai giorni del presente."