martedì 19 ottobre 2010

Meditatio de Autumno III

Il tempo va avanti, sembrerebbe. E siamo alla mia quarta settimana a Milano. Alcune zone sono davvero interessanti, altre meno. C’è gente di ogni tipo, chissà se due o tre anni fa sarei stato in grado di conoscere così tante persone in così poco tempo. Certo, la sacrosanta spocchia mi accompagna sempre, come una fedele compagna. Ma, d’altronde, se dovessi iniziare a selezionare le conoscenze secondo i miei criteri, vivrei una ben solitaria esistenza. C’è sempre l’innegabile vantaggio di confrontarmi con un campione più significativo di mondo. Mi sto accorgendo di essere davvero una bella persona, interessante, intelligente, aperta, piacevole. Bravo.
Ah, mi sono iscritto in palestra.
Fa ridere, si. Parecchio. Ma devo dire che andarci di mattina ha i suoi lati positivi. Sono circondato da vecchini, adorabili. Oddio, mi smerdano addirittura loro, in quanto a prestanza fisica. Poco male.
Le lezioni di filologia mediolatina hanno dell’erotico, ve lo assicuro. Oggi mi sono eccitato fisicamente davanti a quello stemma codiucum del Policraticus di Giovanni di Salisbury. Cazzo, cazzo, cazzo, che bello.
E il tempo, in tutto ciò, va avanti. Non capisco se corra troppo (quasi un mese!) o indugi oltremisura (solo un mese?). Ci sono situazioni che non riesco a valutare, senza capirne la portata cronologica. Senza contare tutti quei casini bergsoniani su tempo e durata. Cazzo.
A proposito, che fatica accettare certe convenzioni idiomatiche del milanese. Tipo “figa” al posto di “cazzo”, o l’articolo prima del nome, o certe inopportune abbreviazioni del tipo “buon appe” o “vai tranqui” o “siga” o cose così. Nessun problema con le vocali invece, è il meno. Mi consolano i coinquilini meridionali al 100%. Fa ridere, ma non ho mai parlato così tanto napoletano quanto qui a Milano.
Mah.

martedì 5 ottobre 2010

Meditatio de Autumno II - "Comunicatio"


Appurato che i social network non sono il posto ideale per giochi para-letterari o manifestazioni di acume, considerato che la brevità di un essemmesse impone una struttura testuale troppo breve e comunque troppo rigidamente definita, esclusa la possibilità di relazionarsi per via telefonica (sembra tramontata l’epoca delle lunghe telefonate), ridotte al minimo le possibilità di interagire di persona per via della troppa facilità a spostarsi e spostarsi lontano e spostarsi di continuo, che scenari si prospettano per la mia/nostra socialità?
I problemi nascono a monte, e sono dannatamente grossi. Parlare con qualcuno porta a incomprensioni, sempre. Cosa voglio dire io quando parlo con qualcuno o gli mando un messaggio o gli scrivo una mail? Una dichiarazione d’intenti prima di ogni atto comunicativo sarebbe pesante, noiosa, ridicola. Auspico la creazione di una scheda contenente i sottocodici linguistici da utilizzarsi, i referenti, le finalità, i limiti, da compilare prima di ogni nuova conoscenza e da far firmare ad ambo le parti.
Per non parlare di chi ascolta/legge discorsi di altri o per altri o fra altri. È un problema sorto da poco, forse dalla nascita dei social network o giù di lì. Le parole fanno male e per questo di solito non ne uso mai troppe, ma qualche volta per zelo creativo non ci penso su e mi lascio andare; senza considerare che dall’altra parte ci sono centinaia di persone a cui non interessa un accidenti la mia estemporanea elucubrazione, o che facilmente la fraintenderanno, o che la penseranno indirizzata a loro, o che la capiranno e ci soffriranno.
Le parole fanno male e i social network fanno male. Il blog è uno strumento più autarchico e personale, lo leggi se vuoi leggerlo, ti dà spazio per spiegare; ecco perché da oggi sarà meglio usarlo di più.
E magari sponsorizzarlo su Facebook.