lunedì 28 novembre 2011

Iudicium - Truffaut (1962-1968)



“È meglio citare Truffaut” si diceva, dunque in assenza temporanea di furor scribendi continuerò la mia rassegna. Con una piccola deroga stavolta, ché non sono riuscito a procurarmi in francese, per ora, La mariée était en noir (La sposa in nero, 1967). Ne parlerò non appena lo vedrò.
Antoine et Colette (Antoine e Colette, 1962) è uno dei cinque episodi che compongono il film collettivo L'amour à vingt ans (L’amore a vent’anni, 1962); con questo cortometraggio Truffaut torna sul personaggio di Antoine Doinel (protagonista di Les quatre-cents coups), ora diciassettenne: il giovane vive da solo, si guadagna da vivere lavorando e, per la prima volta nella sua vita, si innamora. La brevità del film non consente particolari giudizi sulla regia, se non l’uso interessantissimo della voce narrante, già sperimentato in Jules et Jim (non a caso, forse, la voce narrante in Antoine et Colette è proprio quella di Henri Serre, l’attore che interpreta Jim). Il punto di forza, come sempre, è il ricorso all’emozione, all’identificazione; il tutto passa attraverso l’esplorazione interiore di un personaggio a cui ci si affeziona, che si conosce via via, che diventa quasi un amico o un alter-ego.
La peau douce (La calda amante, 1964) ci catapulta in un immaginario molto lontano da quelli fin qui visti. Parrebbe un classico dramma borghese, un uomo di mezza età che si innamora di una giovane donna e porta avanti con lei una relazione adulterina. Come sempre però, Truffaut riesce a tenersi lontano dai cliché del genere, sia attraverso il suo linguaggio registico (attenzione ai dettagli, gestione dei tempi e dei campi) sia per quanto riguarda i contenuti: oltre al finale decisamente inaspettato, qui Truffaut ribalta completamente lo spirito di Jules e Jim, libero e libertino, mostrando quanto di pratico, abitudinario, contingente, assolutamente non poetico ci sia in un amore, e come questo amore non possa che esistere in una forma socialmente accettata e aperta. E poi c’è la bellissima Françoise Dorléac, che da sola merita la pellicola (leggetevi un po’ qui chi è).
Fahrenheit 451 (1966), tratto dal conosciutissimo romanzo di Bradbury (uno di quelli che ti fanno sempre leggere i primi anni del liceo), rivede la comparsa di Oskar Werner (già visto nei panni di Jules), che interpreta Montag, agente della squadra di pompieri incaricata, in un futuro distopico ma nemmeno così tanto, di incendiare tutti i libri al mondo. Il periodo in cui è stato girato il film è quello che è, e qui più che altrove possiamo vedere il nostro Truffaut sessantottino. Sulla trama non mi dilungo, è cosa nota; interessante è invece la scelta di Truffaut di dare un finale piuttosto diverso rispetto al libro, non tanto nella forma (anzi, ancora una volta dimostra gran fedeltà rispetto alle sue fonti), quanto nel messaggio di fondo. Vedrete e capirete.
Baisers volés (Baci rubati, 1968) è il terzo capitolo della saga di Antoine Doinel; ormai ultraventenne, il giovane esplora il mondo femminile e relazionale, cambia più volte lavoro, compagnie, gusti, in un continui altalenare fra prese di coscienza della maturità e necessità di imporsi sulla propria vita, che ormai diventa “seria”. La consueta leggerezza di Truffaut è qui operante all’ennesima potenza, variando dalla nostalgia, alla malinconia, alle piccole gioie, alle preoccupazioni quotidiane. A essere sinceri, la prima oretta di film è piuttosto deludente perché, a parte l’emozione iniziale nel rivedere il volto ormai noto/personale di Antoine, la noia ha il sopravvento. Ma nell’ultima mezz’ora… Wow. Prima col meraviglioso personaggio di Fabienne Tabard, la donna-visione matura che entra di prepotenza nella vita di Antoine con un folata di poesia, poi con le tre scene finali, una più toccante dell’altra (registicamente ed emotivamente), Truffaut gioca le sue carte migliori regalando una delle conclusioni forse più commoventi della storia del cinema. Certo, un gran ruolo lo giocano la colonna sonora (Charles Trenet, Que reste-t-il de nos amours?, che potete ascoltare qui sopra) e le vedute di Montmartre…

lunedì 21 novembre 2011

Alius Carmen - "Versi a Dina", Camillo Sbarbaro

La trama delle lucciole ricordi
Sul mar di Nervi, mia dolcezza prima?
(Trasognato paese dove fui
ieri e che già oggi non riconosce il cuore).

Forse. Ma il gesto che ti incise dentro,
io non lo ricordo; e stillano in me dolci
parole che non sai d’aver dette.

Estrema delusione degli amanti!
invano mescolarono le vite
s’anche il bene superstite, i ricordi,
son mani che giungono a toccarsi.

Ognuno resta con la sua perduta
Felicità, un po’ stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.

Miele segreto di che s’alimenta;
fin che sino il ricordo ne consuma
e tutto è come se non fosse stato.

Oh come poca cosa quel che fu
da quello che non fu divide!
Meno
che la scia della nave acqua da acqua.

Saranno state
le lucciole di Nervi, le cicale
e la casa sul mare di Loano,
e tutta la mia poca gioia – e tu –
fin che mi strazi questo ricordare.


(Camillo Sbarbaro, Versi a Dina, 1931)

sabato 19 novembre 2011

Meditatio de Autumno novo VI - Aria di latte


Qualche mattina fa, sceso dal cinquantotto, immersomi in un’aria di latte – questo sembrava la nebbia – vidi un corvo con una ghianda in bocca. Era su un lampione, in cima, che cercava di rompere il guscio col becco. Poi fece un balzetto in avanti, buttando la ghianda giù, sul marciapiede. Lo fece due volte. È così che capii definitivamente l’inconsistenza e l’inutilità della specie umana, il fatto che potrebbe esserci o non esserci e niente, neanche un piccolo atomo in questo universo, in questi universi, la rimpiangerebbe.
E non è un discorso etico, non siamo buoni o cattivi abitanti della terra, semplicemente siamo superflui.
Costruiamo cose, proviamo sentimenti, studiamo, scriviamo, scriviamo su un blog, scriviamo su un blog che siamo esseri inutili, e tutto questo che senso ha nell’economia dell’esistenza?
E non è un discorso teologico, che ci sia o meno una retribuzione per le nostre azioni, che ci sia un creatore/giudice/arbitro/guardalinee/teleologo, cosa apporterebbe questo? Saremmo o no, comunque, corpuscoli che vagano e si agglomerano e si disgregano?
Proviamo piacere per alcune cose, la lettura, il sesso, il cibo, il divertimento, l’arte, l’ozio, la pace. Cose che iniziano e finiscono, e se non ci sono è tutto brutto, e se ci sono ci illudono che potrebbero sempre esserci.
E non è un discorso estetico, perché non è vero che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” e non è vero che è “meglio aver amato e perso che non aver mai amato”; questi sono tutti protocolli scatologici a tempo limitato.
E men che meno è un discorso esistenziale, perché io ne faccio mai, di discorsi esistenziali.
È che non avevo ancora preso il caffè, quella mattina.

martedì 15 novembre 2011

Iudicium - Truffaut (1959-1961)



Vi avevo promesso un consiglio cinematografico. In realtà avrei voluto fare una dettagliata recensione dei primi tre film di Truffaut. Purtroppo la pigrizia gioca brutti scherzi, quindi eccomi qui a scrivervi giusto due cosine a riguardo. In apertura, ascoltatevi la canzone qui sopra, è di un (da me amatissimo) gruppo di Torino, i Verlaine. Qui la loro pagina su Rockit, dove potete ascoltare tutto il loro album. Ebbene, proprio l'ascolto del suddetto pezzo mi ha fatto venire voglia di affrontare, in ordine cronologico e in lingua ufficiale, tutta la filmografia di Truffaut. E, di tanto in tanto, vi scriverò come procede l'impresa.
Il nome di Truffaut è legato alla Nouvelle Vague, ma è piuttosto lontano dagli sperimentalismi e dall'originalità, per esempio, di un Godard. Truffat è soprattutto un gran narratore, che sa scrivere storie e costruire personaggi (che in un caso travalicano addirittura i limiti del singolo film), ne narra disgrazie e gioie (soprattutto le prime, sia chiaro, e lo ringraziamo per questo), ne eviscera i caratteri.
Les quatre-cents coups (I quattrocento colpi, 1959) ci porta nel mondo dell'infanzia, che poi è un po' il mondo della poesia, di quella poesia della piccole cose, dei ricordi, delle esperienze. Un'infanzia non facile, conflittuale, che ci mette da subito in contrasto col mondo, coi genitori, con le regole stesse del vivere civile; il piccolo Antoine vorrebbe godersi la vita, per quel poco che può, ma si scontra con la realtà, che impone, reprime, ordina. Ma questo tema, che un altro registra avrebbe trattato con pesantezza, amarezza e angoscia, viene affrontato da Truffaut con una leggerezza, un'evanescenza, un'innocenza davvero poetica (nel senso più prosaico - scusate il gioco di parole - del termine), quasi a voler dire che è con gli occhi di Antoine, del bambino, che bisogna guardare alla vita, che bisogna sfidare il mondo e la società, non con la malizia e col senso di sconfitta degli adulti. Un film davvero delicato, nonostante, nel finale, le tematiche siano tutt'altro che facili e leggere, a metà strada fra fantasia e biografia, una biografia forse che appartiene un po' a tutti, almeno a livello spirituale.
Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960) è forse il film più particolare di questo primo periodo. Formalmente è un noir, si rifà palesemente al cinema americano di qualche decennio prima, ma con una gran carica di originalità e personalità. Charlie (interpretato da Charles Aznavour) fa il pianista in un locale e, tirato dentro dai suoi fratelli ladri, finisce in una faccenda di soldi, pallottole e rapimenti. Fin qui tutto normale, ma la novità di Truffaut sta nell'inserire, all'interno del classicissimo plot, una serie di elementi piuttosto decentrati: lunghi flashback sulla carriera da musicista di Charlie e sul suo primo matrimonio, lunghi monologhi su come approcciare la bella di turno, dialoghi surreali fra gangster dal cuore tenero (come Tarantino, trent'anni prima di Tarantino), intermezzi musicali completamente gratuiti... Insomma, un gioco cinematografico, che per un istante lascia da parte il piglio biografico ed esistenziale, ma non abbandona la poetica delle piccole cose e dei sentimenti.
Jules e Jim (1961) è ambientato nei primi del '900: è la storia di una grande amicizia, fra i due artisti-scrittori-bohemienne Jules e Jim, e del loro rapporto con Catherine (interpretata dalla bellissima J. Moreau), donna emancipata e decisamente "anni '60". Una triangolo amoroso, quindi, che all'epoca fece scandalo, ma che non può non dirsi assolutamente romantico e sentito, vitale, mai piatto e monotono, ma passionale, intenso, altalenante, in una parola, vero. Tre persone che, un secolo fa (all'epoca mezzo secolo fa), decidono di vivere secondo il corpo e non secondo le regole, seguendo l'arte e non la società. Fantastico il montaggio, fatto di vecchi filmati di repertorio, scene spesso giustapposte o parallele, tutto unito da una voce narrante e un'onnipresente attenzione formale alle inquadrature, soprattutto quelle ai piccoli gesti e oggetti quotidiani. Questi ultimi due elementi, in particolare, danno al prodotto un'aria fiabesca, trasognata, romantica, la stessa che, molti anni dopo, ritroviamo in Le fabuleux destin d'Amélie Poulain (Il favoloso mondo di Amélie, 2001) di Jeunet, che deve davvero tanto a Jules e Jim.
Guardare per credere.

venerdì 11 novembre 2011

Meditatio de Autumno novo V - V per X uguale L! Cinquata post, cinquanta iscritti, tanto ammmmore.

[Solo per voi aficionados in esclusiva uno scatto delle
ormai celebri giostre sotto la finestra della mia stanza.
La foto risale alla settimana scorsa, quindi prima del mio
attacco di legiostresonochiusemacisonoancoraicamionfobia,
quello di cui parlo nell'ultimo post]

Cinquantesimo post
. Va scritto molto velocemente, perché al momento ho cinquanta iscritti e sarebbe carino fare una cosa a tema, prima che il fatidico cinquantunesimo si iscriva. Fiftififti. Potrei fare un bel pippone sul fatto che siete tutti fighi voi che mi seguite, che quando avevo iniziato non speravo minimamente che sarei arrivato dove sono, che non mi merito tutto questo. Ma no, in realtà il mio piano di conquista del mondo è solo all’inizio, fra poco il mondo si accorgerà della mia grandezza e questo blog diventerà il crocevia della cultura occidentale.

Deliri fallocratici a parte, è interessante vedere come ho cominciato qui. In realtà scrivo su blog dal 2004, quando ero un giovine virgulto di diciassette anni e scrivevo cose ridicole più o meno come quelle che scrivevo oggi. In un raptus di modernismo (maledetto) ho cancellato tutto l’anno scorso e ho ricominciato qui su Cawarfidae, come Cawarfidae.

Il che è buffo. Perché fino ad allora mi ero sempre chiamato col mio nome e cognome, mi ero sempre presentato con la mia foto e tutto il resto. Quello che è cambiato da allora è che ora ci sono altri canali per “essere me stesso”, tipo i social network (ok, ok, non iniziate con le solite cose del tipo “ma per essere te stesso non devi andare su internet e cose così”, non intendo dire questo e non intendo dire che lì ho la mia vita. Anzi, ho un rapporto incredibilmente conflittuale con facebook, come dissi qui. Voglio solo dire che qui più che di me stesso parlo dell’immagine letteraria di me, del mio ruolo sociale di autore/personaggio). Per inciso, nella vita di tutti i giorni non scrivo cose in latino.

Vabbè.

Qualche volta si.Ma per scherzo.

Più o meno.

Va bene, ho cazzeggiato più del consentito, questo è uno dei primi miei post per nulla meditato e si vede. Ma mi perdonerete perché mi volete bene e perché sono bello e simpatico. Ci vediamo al cinquantunesimo iscritto e al cinquantunesimo post (che, udite udite, sarà un consiglio cinematografico).

martedì 8 novembre 2011

Meditatio de Autumno novo IV - Cawarfidaefobia

Fra alluvioni, corse matte e disperatissime per prendere treni e andare alle prove del gruppo, manoscritti medievali riprodotti in microfilm orribili e plurilinguismo obbligato dalle 2434654976 nazionalità presenti qui in collegio, la vita prosegue.
No, lo dico perché non è così scontato come sembrerebbe, il fatto che la vita prosegua.
Succedono cose strane, cose alla X-Files o alla Fringe (che è quella roba di cui parlai tempo addietro qui). Il segreto è sempre lo stesso: ignorare e obliarsi.
Ma veniamo al nostro…
Elenco delle cose straneeeee!

(No, non c’è un jingle di sottofondo, non fate lo sforzo di immaginarvelo [e no, non è una nuova rubrica, quelle che ci sono già mi mettono abbastanza in imbarazzo da sole])

  1. C'è una ragazza spagnola nel nostro bagno che sta piangendo perchè una sua "amica" le ha spruzzato uno spray al peperoncino in faccia e c'è un ragazzo di colore sudafricano che la sta aiutando a tamponarsi gli occhi con uno straccio intinto nel latte (probabile rito Zulu, nel dubbio inizio a chiamare Bernardo Guy).
  2. Nelle statistiche del mio blog leggo che la chiave di ricerca che porta più gente qui - a parte l'ovvia "Cawarfidae" - è la parola "Darwin" (ovviamente perchè lo cito ogni trepperdue), così come l'articolo più letto è proprio questo. La cosa mi inorgoglisce.
  3. Inizio ad avere paura, perchè le giostre sotto casa mia (quelle di cui si parla qui) sono state smontate ormai da una settimana, ma i camper e i camion sono ancora accampati qui sotto. Non so perchè la cosa dovrebbe farmi paura, ma tant'è. C'è chi ha l'aracnofobia, io ho la legiostresonochiusemacisonoancoraicamionfobia.
  4. In questo post ontinuo a linkare cose che non interessano a nessuno, verso cose che non sono mai interessate a nessuno; questo è un chiaro segnale di cedimento metale. Ergo, abbiate paura di me. Cawarfidaefobia.
  5. Sto diventando razzista, profondamente razzista. Ma a ben vedere, sto solo diventando misantropo, perchè semplicemente odio qualsiasi sotto-insieme del genere umano, a partire dalle razze, per passare alle religioni, i generi, le parentele, le materie di studio, la faccia, in poche parole: l'essere altro da me. Che, da quello che dicono ultimente, è poi il ritratto di 6.999.999.999 esseri umani.
  6. Perchè la donna della mia vita è sempre sul metrò che va nella direzione opposta alla mia e le porte si chiudono nel momento stesso in cui la vedo per la prima volta e mi innamoro perdutamente di lei? No, sul serio, sarà capitato cinque volte nell'ultima settimana.
  7. Questa lista di stramberie a ben leggere è la cosa più malata di tutte.
Come da copione, alla fine il problema sono io, il fatto che sia a un passo diverso rispetto al mondo che c'è intorno e probabilmente anche rispetto ad altre mie personalità.
Per fortuna fa molto artista maledetto questa roba del fare lo strano. Giochiamocela così, va.

domenica 6 novembre 2011

Altercatio virorum de mulieribus - "Basal Instinct" IV


Giobbe: Ma sei sicuro?
Patronio: Ti ho detto di si, malfidato.
G.: Giuro che se mi metti in imbarazzo davanti a tutti…
P.: Cazzo, sembra che tu non sia mai stato a una festa…
G.: Non a una che prevede appuntamenti al buio e altre cazzate del genere!
P.: Rilassati, amico… Confrontarsi con donne che non conosci e che probabilmente non vedrai mai più in tutta la tua vita aiuta. Non c’è quella patologica paura di rovinare amicizie, ricadere in vecchie storie, fare bella impressione... Insomma, tu sei lì per quello, loro sono lì per quello e amen.
G.: Amen.
P.: Piuttosto… Gli esercizi?
G.: Senti, guarda, voglio essere buono, ho avuto una giornata lunga e difficile, non costringermi a incazzarmi e romperti la faccia, ti imploro. Ok, vengo a ‘sta cazzo di festa per ninfomani. Ok, esco un po’ nonostante sia triste e depresso e solo. Ok, tollero i tuoi discorsi deliranti sulle donne e sul sesso. Ma, porca di una puttana, NON nominare MAI più Kegel.
P.: …Noioso che non sei altro.
G.: Rompicazzo che non sei altro.
P.: Vabbè dai, scusa, scusa, niente più esercizi per il pavimento pelvico, promesso. Che rimanga una cosa fra te e il tuo urologo.
G.: Io non ho un urologo.
P.: Ecco.
G.: Ecco?
P.: Si, ecco.
G.: Ecco cosa?!
P.: Continui a dare prova della tua inettitudine sessuale.
G.: Perché non ho un urologo?!
P.: Perché non hai un urologo, già. Ora, conosci per caso donne che non abbiano un ginecologo di fiducia, che non si facciano visitare ogni tot di tempo, che non si prendano cura delle loro parti intime con perizia e scrupolo?
G.: Ossancorneliopapa…
P.: Si si, continua pure a invocare santi e madonne. Aiuta senz’altro, eh. Di certo più che andare a farsi visitare… Ma tu ti rendi conto di come Q badino a certe cose?! Questa è la chiave del successo! Calcolare i giorni del ciclo, di fertilità, la temperatura basale…!
G.: No. Non puoi aver detto “temperatura basale”. Non sul metrò mentre andiamo a una festa, non sei normale.
P.: Ok, avrei voluto tenermelo per un’altra occasione ma non mi lasci scelta. Giobbe, ti presento il mio caro amico Metodo Ogino-Knaus.
Ogino-Knaus: Molto piacere, Giobbe.
G.: Mi stai davvero presentando un “metodo”?! Ma non dovevamo conoscere ragazze?!
P.: Non essere scortese e presentati, idiota!
O.: Oh, si figuri Patronio… Sono abituato a queste cose… Non è da tutti i giorni parlare con un Metodo.
G.: Si, si, vabbè. Mi arrendo. Ehm, piacere Signor Metodo Ogino-Knaus…
P.: Oh, così si fa. Ebbene, il qui presente Metodo è la prova dei livelli di perizia raggiungibili dalla scienza.
O.: Modestamente…
G.: Mh. E questo cosa ha a che fare con lo scrupolo delle donne nei confronti della loro passera?
O.: Bè, caro Giobbe, innanzitutto non la chiamerei “passera”. Sa, in campo scientifico le metafore spesso creano confusione. Comunque, in soldoni, grazie a me una donna può capire, su base statistica, i suoi giorni di maggiore o minore fertilità, e regolare la sua vita sessuale di conseguenza.
P.: Esatto Giobbe, hai capito bene. Ti risparmiamo la parte più scientifica, ma vedi qual è il succo della questione?
G.: Io vedo solo un mentecatto. E il problema è che inizio a pensare di essere io.
P.: Si, si, lasciamo stare ‘ste tue paranoie. Il succo è che loro hanno il controllo di loro stesse. Capisci? Hanno un metodo, una direzione, un indirizzo epistemologico, una deontologia. E tu ti permetteresti mai di dire qualcosa a una donna che ti fa: “no guarda tesoro, oggi non possiamo farlo, perché la mia temperatura basale non è adeguata”?! Certo che no! Invece se tu rinunci all’amplesso? Se fai cilecca? Che scusa potresti usare? Non sai nemmeno come funziona il tuo dotto spermatico.
G.: Io non faccio cilecca…
O.: Mi permetto di intervenire, è statisticamente molto difficile che lei non faccia mai cilecca, signor Giobbe…
G.: E tu stai zitto! Andate a fanculo tutti e due, io me ne torno a casa…
P.: Eh… Come sempre, una battaglia persa in partenza. Caro Ogino-Knaus, credo che stasera saremo solo io e lei alla festa.
O.: Così pare…
P.: Ah, solo per chiarire, lei preferisce le bionde o le brune? Non vorrei mai che lì ci intralciassimo a vicenda…