Una mezzoretta fa ero davanti a un disegno sull’asfalto fatto col gessetto, mezzo cancellato. Il gioco della campana. Roba che manco più i nostri genitori. Stretto nella mia giacca da fallito, dopo essermi sincerato che nessuno mi stesse guardando, ho fatto due o tre saltelli su quei quadrati. Il gioco della campana in un angolo deserto e sperduto di un paese di ventinovemilaottocentosettantuno abitanti (secondo il dato Istat del 31 dicembre 2010, fedelmente riportato da Wikipedia). Come fossi finito lì manco me lo ricordo più. Camminare, un po’ a caso, per schiarirsi le idee. Che idee poi… Ancora a pensare stai, Enrico? Si, ti riesce bene, questo l’abbiamo capito. Ma mentre fai quei due timidi saltelli su un piede, cosa stai ancora lì a pensare, che sei ridicolo? Mi tatuerei una bella, gigantesca Elle sulla fronte. Una persona inconcludente. Inconcludente e inconcretizzante. Che non si dice in italiano. Oddio, ci sono campi della vita in cui credo di essere piuttosto determinato e “concludente”, per esempio lo studio o la musica. Altri campi in cui sono un disastro. E la colpa, caro Enrico, è sempre la tua. Lo è sempre stata, ogni diavolo di momento. Inetto. Roba che Zeno e Ulrich mi fanno una pippa. Stasera ho conosciuto la piccola comunità di ventenni kenioti del suddetto paese di ventinovemilaottocentosettantuno abitanti. Gente interessante. Poi ho riso, perché conoscevano tutti mio cugino, che è una sagoma. Ma Enrico, è questo quello che vuoi raccontare di stasera? Davvero…? Dopo aver giocato da solo alla campana ho visto due hipster su una panchina. Mi hanno fatto tenerezza e un po’ pena perché non c’è evidentemente posto per loro in questa cittadina. Scappate, andate a Londra o a New York, non rimanete in questi posti da ventinovemilaottocentosettantuno abitanti. Poi vabbè, mi stanno pure sul cazzo gli hipster, che andassero a fanculo. Enrico… Sei patetico. Te la prendi con gli altri. L’abbiamo appurato, la colpa è tua, tua culpa. Forse non sei pronto, non ancora, e questa è tutta una montatura. O stai camuffando tutto dietro questa maschera gioiosa da fallito. Che sarà patetica, ma almeno ha uno statuto letterario ed è riconosciuta dalla società. E non è quel coacervo di “cose” opposte che ti frullano per la testa. Poi ti metti in macchina, ti spari nelle orecchia l’incompiuta di Schubert e via a casa a scribacchiare su un computer ‘ste due cazzate. Freud. Al liceo, la prima volta che lo studiai, non mi convinse su un punto. La pulsione di morte. Come fa una persona ad agire contro i suoi istinti, contro i suoi desideri, contro qualcosa che ovviamente potrebbe farla stare meglio? Ero infarcito di Nietzsche e Spinoza, pensavo che l’uomo vedesse sempre al proprio pro. No, Enrico non fa così, non sempre, Enrico fa anche il contrario di quello che vuole, senza saperne il perché, senza un motivo, forse solo per darsi delle scuse, per camuffare la propria debolezza o impreparazione. Ma no, tranquillo, non sei ridicolo, perché tanto è un gioco letterario fare finta di scrivere il proprio diario, che in realtà è fittizio, ma la finzione è fintamente finta e nasconde un fondo di verità, che però a ben vedere è solo finzione realistica e paradigmatica, che forse alla fine qualcosa di vero c’ha. E dato che sei includente, non darai manco un finale a questo post.