sabato 29 settembre 2012

Carmen - "Pendio Agnano"


Donna Petra la tetra
al bivio bivacca
e vende sigarette di contrabbando
gutturando prezzi
emanando olezzi,
pezzi di vita arrancata
fra guerrieri traci
e vaiasse oscene.

Uno studente scende
con Berkley sotto al braccio
in mezzo a stracci elettorali
su case popolari, bassi salari
altari di lucenti refurtive
e fughe metafisiche.

Ritagli d’acciaieria nel panorama su Bagnoli
acciaccata costa sofferta
Petra osserva:
sbuffi biossidi
bionda aurora da combustione,
nel tramonto industriale
lo studente – repente –
è intanto sceso
e nulla vede,
se non ragazzi lividi
madidi
che scordano la città
scommettendo sulla pelota.


(Dalla Parte di Huàscar, CFR edizioni, 2012)

giovedì 27 settembre 2012

"Atlas biri, dat n'a firi" II

Ciao a tutti, sono Enrico e conosco la Atlas da più di cinque anni.

Non ricordo l’ora o il giorno o il mese in cui è successo, né l’occasione, ma credo sia un effetto collaterale comprensibile. Fu amore, questo è certo. Ma andiamo con ordine (tuttavia… è possibile ordinare l’insondabile? Classificare l’ignoto?), credo sia ora di fare le dovute presentazioni.

 
La Atlas è una birra, per cominciare. Dove “una” non sta per “una qualsiasi” ma per “una in particolare”. È imbarazzante dare una definizione, per me. Sono troppo coinvolto, bisognerebbe essere obiettivi. Tipo quando si chiede a una mamma “chi è il bimbo più bello del mondo?” o a un tifoso di calcio “qual è la squadra più forte?” (NdA: è il Napoli, ovviamente). Ma, amici, non riesco a mettere da parte le emozioni, davvero.
Dicevamo. Non saprei raccontarvi come ho conosciuto cotale delizia, ma di certo è successo nel reparto bevande alcoliche del discount sotto casa mia. Ebbene si, in quel Parnaso dello shopping, nei Campi Elisi dei generi alimentari a basso costo, lì, proprio lì, si consumarono i primi mesi del nostro amore.
Le feste estive sul terrazzo di casa dei miei – quando i miei ovviamente non c’erano – prevedevano per contratto l’acquisto di una cassa ogni due persone, dove una cassa equivale a sei per quattro uguale ventiquattro lattine, ognuna da zero virgola cinque litri, dalla gradazione alcolica di otto virgola cinque percento. Contando che si era sempre fra i dieci e i quindici invitati, fate un po’ voi i conti.
Oh, Atlas, dolce Atlas.
Ricordo anche incubi notturni, fatti di pirati, crostacei giganti, civiltà aliene e divinità perverse tipo Cthulhu. Nossignore, non è un invito a bere, non ci penso neanche. È come se vi descrivessi la mia ragazza invitandovi poi a scoparvela. Pussa via. Non sareste degni dell’iniziazione all’Atlas.
Tornando a noi, continuammo ad amarci per i miei anni torinesi (il mio coinquilino, quando me ne andai, iniziò l’edificazione di un muro di lattine di Atlas, romanticone), ma non era più la stessa cosa, perché la sede torinese del discount era a settecento metri da casa. Sicché fra noi qualcosa si incrinò. La rottura definitiva fu due anni fa, quando mi trasferii a Milano.
Fato beffardo, quel discount a Milano ha solo due o tre sedi e tutte lontane. Ero in astinenza, lo ammetto. Decantai le lodi della Atlas ai miei nuovi coinquilini, era quasi un culto, uno di quelli dove l’oggetto dell’adorazione è tanto più grande quanto più trascende l’esperienza corporea. Era un gigante mitico, Atlas, il titano, restituito alla sua alterità oltreumana.
Finché, una domenica sera, desiderosi di rinfrescarci la gola, ci recammo nell’unico minimarket aperto alle ventidue, gestito da indonesiani. “Dal cinegro”, lo avremo chiamato poi, con affetto e riverenza. Ebbene lì, nel frigo verticale del minimarket, come un sole blu trapuntato di rosso, mi apparve la Atlas. Piccole dosi, si, come di un privato nettare prezioso, ma andava bene.
Da quella sera, mai più comprammo altra birra, per un anno.
Alle Colonne di San Lorenzo, al Magnolia, al Parco Sempione, persi nelle campagne Brianzole o in quelle Pavesi, in nessun posto andavamo, senza una lattina di Atlas in borsa. Panacea, viatico; ammetto che buona parte delle mie poesie, quelle del libro, sono state scritte sotto amoroso effetto dell’Atlas.
Poi, venne l’anno in collegio, in quel limbo interdimensionale lontano da discount o cinegri. Adesso sto bene, si. Ma ogni tanto mi ritrovo a sognarla, fredda e liscia, con quel titano stampato sopra, il retrogusto ferroso, l’odore di Suriname.

So che ci rivedremo, un giorno, e sarà come se non fossi mai uscito dalle porte scorrevoli di quel discout.

mercoledì 19 settembre 2012

"Atlas biri, dat n'a firi" I


Quando, negli anni ’70 del XVII secolo, i coloni Inglesi del Nuovo Mondo diedero agli Olandesi le terre intorno al fiume Suriname, coltivate ormai da una ventina d’anni a zucchero e tabacco, in cambio della più fredda, triste e scomoda Nuova Amsterdam (la futura New York), i fati, che con dita inesorabili muovono le fila dell’universo tutto, gioirono per il compirsi del loro volere.
I paesibassesi con indubbia lungimiranza cedettero quell’isoletta brulla e noiosa perché finalmente, dopo secoli di ricerca, avevano trovato una seconda patria, il Suriname, terra fertile e feconda, destinata a consegnare ai posteri onore e alla patria ricchezza.
Per carità, Manhattan – o come diavolo si chiamava allora – non doveva essere poi così male, ma Paramaribo, con l’arancione splendente delle sue Rupicole Peruviane, deve aver acceso il cuore degli Olandesi, ricordando loro il colore dell’amata patria bandiera.
Ebbene è lì, all’ombra di una Lacuma Mammosa o di una Copaifera Bracteata che ci piace immaginare Martin Van der Vattelapesca mentre scrive, dopo mesi di lontananza, una lettera alla sua amata…

Paramaribo, 19 settembre, a.D. 1683

Diletta Jacoba,
la vita lontana da Voi è ardua. Ancora non prendo abitudine delle miglia che si frappongono fra il mio e il Vostro cuore e ogni notte Vi porto dentro come il più dolce dei sogni. Tre sole cose mi sono di sollievo: il canto della rupicola al sopraggiungere dell’aurora (che mi rammenta il Vostro tossicchiare quando – ricordate? – siete stata tubercolotica, e passavamo interminabili pomeriggi a passeggio sui canali), le partite a dadi col Cappellano John e il fatto che, finalmente, i miei sforzi per produrre una buona birra vengono ripagati.
Ebbene si, Jacoba mia, finalmente una buona birra, di quelle che voi nel Vecchio Mondo bevete…! E qui, a miglia di distanza dall’Olanda, dal suo orzo, dalla sua acqua di fonte e dal Vostro cuore.
L’orgoglio della nazione, statene certa, sarà grande.
Mi resta di trovare un nome per questo nettare (c’è un ingrediente segreto, ve lo confesso… Ma la voglia di scrivervi ancora in futuro mi esorta a ritardare il disvelarsi del mistero); il Vostro è di certo troppo grazioso, per farlo finire sulle labbra e nelle gole di ogni lupo di mare che ne beva. Penso a qualcosa di universale, di terracqueo, che chiunque, con poca o punto cultura possa comprendere, un nome celebre, di Re o di Divinità…
Ditemi, se qualcosa vi viene in mente.
Vi penso sempre, Voi fate lo stesso, se ancora avete il bell’animo che ricordo.

Con sentimento, il Vostro

Martin Van der Vattelapesca

(Continua...)

martedì 18 settembre 2012

Meditatio aestatis 2012 d.C. (a volte ritornano)



Il 21 marzo è l'80º giorno del calendario gregoriano (l'81º negli anni bisestili). Mancano 285 giorni alla fine dell'anno (onnisapiente Wiki). In ordine sparso, il 21 settembre Enrico V diventa re d’Inghilterra, viene completato il campo di concentramento di Dachau, la Namibia ottiene l’indipendenza dal Sud Africa, Napoleone promulga il Code civil des Français, passa la riforma sanitaria proposta da Obama, Carter annuncia il boicottaggio delle olimpiadi di Mosca, la Persia diventa Iran, Cawarfidae scrive un bellissimo post su Pippo Franco.
Ebbene oggi, 18 settembre, 261º giorno del calendario gregoriano (262º negli anni bisestili), quando mancano 104 giorni alla fine dell'anno, Cawarfidae riprende a scrivere. Tipo sei mesi di pausa, o faccio male i conti…?

C’è da dire che sono successe un sacco di cose nel frattempo.

Ho presentato il mio libro qui e li (si si, fisicamente “qui” e “li”, perché non ho superato il paio di uscite pubbliche).
Ho lasciato il collegio delle meraviglie.
Sono stato qui:


e qui:

e qui:

Ho anche finito gli esami, giusto ieri, opperbacco.
Insomma, non ho scritto una beneamata fava, romanzi poesie post riflessioni tesi, proprio niente di niente, manco canzoni o che so io. Adesso che sono nel delizioso limbo dei “laureandi”, posso finalmente pregustare il futuro da disoccupato che tanto inseguo e perseguo…!
E voi come state, feccia adorata? Prometto che mi impegnerò a scrivere e ve ne darò testimonianza, cascasse il mondo!