mercoledì 11 dicembre 2013

Forconi e forchette: la manifestazione degli studenti dell'11 dicembre.


Stamattina ho seguito per un paio d’ore il corteo di protesta degli studenti a Torino. Come per i disordini dei giorni scorsi, anche in questo caso non c’era un’organizzazione precisa, né un riconoscibile sostrato politico. Mi sono intrufolato fra i manifestanti in piazza Castello, per capire chi fossero, e ho filmato i loro volti, le loro discussioni e i loro slogan. Devo ammettere che il grado di civiltà di questi ragazzi è stato molto alto. Insomma, nel peggiore dei casi erano lì per saltare un giorno di scuola, non certo per assaltare vetrine o quant’altro. Sono molto diversi dai quindicenni con cui ho manifestato in passato io, qui c’è una sorta di pudore a parlare di partiti, ideologie: c’è molto spazio per i sentimenti e per gli slogan, di stampo soprattutto calcistico. Per un momento l’Inno di Mameli porta una ventata di destra (perché si, è triste, ma il nostro [bruttissimo] inno ha sempre paventato derive calcistico-nazionaliste), ma nel complesso prevale il qualunquismo. Qualunquismo, beninteso, molto più giustificato qui che fra “forconi”, scontenti e fascistelli dei giorni passati. Mi stupisco di un paio di bandiere della Pace.
Polizia, Carabinieri e Vigili urbani non fanno stronzate, sono attenti e cauti, e del resto i manifestanti non fanno mai niente di avventato. Sono teneri i capigruppo (probabilmente destrorsi, date le pelate e i bomberini) nella loro disorganizzazione, nel richiamare continuamente i ragazzi dietro gli striscioni, nel cambiare idea ogni 5 minuti sul percorso.
Disgusta pensare che anche dietro questo incontro, probabilmente, si celano le viscide spire di qualche squadrista di periferia; perché in fondo dietro quei giubbottini tamarri, quei tagli di capelli inguardabili, quella house di terza scelta dai cellulari, quei “minchia zio” e “bella fratè”, c’è tutto il diritto di avere paura per il proprio futuro e tutta la legittimità a manifestarlo ingenuamente, anche solo marinando la scuola per un giorno e saltellando al suono di “chi non salta del governo è”…

lunedì 9 dicembre 2013

Renzi, Salvini, il Gran Maestro dei Lich e lo "sciopero a oltranza" del 9 dicembre.

Mentre antichi gazebo risalenti all'arcaica età della "Festa dell'Unità" accolgono quello che resta della sinistra italiana e il Gran Maestro dei Lich Silvio rievoca l'antico demone di Forza Italia, qualcosa di strano e pericoloso sta succedendo per le strade.
E no, non sto parlando del "bambagioso" (cit.) quanto enigmatico faccione di Renzi - sebbene anche su di lui la Sibilla avrebbe nefaste profezie.
Già da qualche giorno circolano volantini come questo, per le strade di Torino (e, suppongo, di tutta Italia):

[A dire il vero ne circolano varie versioni, 
e già questo la dice lunga sulla naivetè dell'iniziativa]

Sui giornali e sui telegiornali si è detto poco, ma le questure si sono subito allertate. Il mio senso di ragno ha immediatamente iniziato a pizzicare, ma non credo serva essere un questore o un supererore per reagire in maniera allarmata a un volantino che inizia con la locuzione "I VERI ITALIANI"... Stamattina per il centro erano diversi i negozi chiusi con il volantino esposto, e numerosi altri avevano la serranda semi-abbassata, pronti a rintanarsi all'interno in caso di disordini.
C'è da dire che, finora, non ci sono stati disagi*, se non un fastidiosissimo surplus di tamarri in giro. Ma la gente comune - uso il termine, stavolta, in un'accezione negativa - è pericolosamente ricettiva; conosco alcuni dei negozianti che hanno aderito allo sciopero, e non ce li vedo rasati a zero col bomberino, o con fez e pantalone svasato sui fianchi... La paura è questa. L'assenza di un qualsiasi sostrato ideologico palese (dico palese perchè in realtà, è ovvio, si tratta di fascismo da manuale), il populismo becero, il qualunquismo forcaiolo (già nel nome del "movimento", i Forconi): in momenti di crisi, lo capirebbe pure Salvini (a proposito, auguri Matteo! Ci mancavi solo tu in questi giorni di rigurgiti reazionari...), queste menate da colonnelli greci attecchiscono facilmente; basta qualche sapiente tocco di anti-politica, un goffo accenno nazionalista, il buon Pertini che mette d'accordo tutti (sacrilego abuso della cultura pop) e il clima di terrore è bello che servito.
Grazie a Dio siamo a corto di Juni Valeri Borghese, ché poco ci vorrebbe a convogliare questo irrazionale sfogo antidemocratico in una dittaturina bella e buona.
Sia chiaro, non chiedo a tutti i costi un'ideologia dietro la protesta. In passato un seppur minimo palinsesto politico - nel senso più nobile del termine - ha impedito che tutto andasse in caciara (o meglio, ha regalato la speranza che se tutto fosse andato in caciara, qualcosa di più giusto, più bello e più vero avrebbe presto il posto del degrado presente); ma oggi quelle care vecchie utopie sanno un po' di naftalina e non raccoglierebbero questo grande consenso... 

Dunque, per ribellarsi alle evidenti ingiustizie, per lamentarsi - legittimamente! - della condizione disastrosa in cui versano molte famiglie, per non cedere alla morsa di caste che senza ombra di dubbio stanno spremendo il paese, non servono necessariamente ideologie, men che meno ideologie forti. Ideologie no, ma almeno idee sì.

---

* Col cazzo, ultimi aggiornamenti parlano già di scontri più o meno armati.
** Ma nella miglior tradizione dei succitati Colonnelli greci, ecco il sodale abbraccio fra polizia e scioperanti neri...

sabato 23 novembre 2013

Trash, narcisismo e Torino Film Festival

Il vostro amichetto medievista che scrive libri di poesia e vi tedia notte e dì con post sui cartoni animati, su Pippo Franco, sull'Ogino-Knauss e sugli Zombi solo per soddisfare il suo inesauribile narcisismo, ne ha combinata un'altra.
Da un po' di settimane collaboro infatti con RadioOhm, una web-radio con sede nel torinese, tanto per ampliare il raggio dei miei interessi non retribuiti (che, come sapete, già non sono pochi). Nella fattispecie ho cominciato come ospite nella trasmissione musicale "La via dell'Asheto" (in onda ogni due mercoledì del mese alle 20.00 - la prossima puntata sarà mercoledì 27!), in qualità di esperto di musica e cultura Trash (per la gioia di tutti i miei professori universitari, che hanno capito quanto abbia preso seriamente i miei studi). Non contenti, quei buontemponi di RadioOhm mi hanno chiamato a co-condurre "L'ultima fila", trasmissione di approfondimento cinematografico (perchè è vero, non è che sia un grande esperto di cinema, ma so vendermi piuttosto bene. Il mio prossimo obiettivo? Andare a condurre "La prova del cuoco"): ascoltateci ogni domenica alle 21.00!

Tutto all'insegna della "passione" - ossia della non-retribuzione -, ma ci sono anche alcuni benefit... Per esempio l'accredito da giornalista al Torino Film Festival!


Mi sto sparando un sacco di film insieme ai miei colleghi: se vi va potete leggere le nostre impressioni (aggiornate ora per ora, mica cazzi!), potrebbero aiutarvi a scegliere cosa andare a vedere al Festival o prossimamente nei cinema...

Questa è la pagina di facebook, questo il blog e, per i giovincelli, il papa e i personaggi politici, Twitter.

E ora che anche questa auto-marchettona è andata, vi lascio al vostro fine-settimana! Bacini e tanta cultura a voi!

giovedì 21 novembre 2013

Carmen - "E credi tu che queste sere..."

[Voce e realizzazione video: Ivo De Palma]


E credi tu che queste sere
sibilline, ci rendano ferrati
nei giochi della vita
– ch’è sfeltrito laccio ego-statico
sangue costretto in un giro di carne – ?
Tu non sai come sfilacciare
i gridi dei grilli strazianti,
non sai stare in piedi e più chiedi
più stridi di luce molesta

ti resta il mio braccio da zombie
te lo regalo
fanne anche cattivo uso
tanto è già morto


(Dalla parte di Huàscar, CFR edizioni, 2012)

venerdì 15 novembre 2013

Pegasus, le mie poesie e la Generazione Silvio.



Avevo tre o quattro anni, e ai tempi i cartoni animati li facevano un po’ dappertutto sulle reti Mediaset (e a qualsiasi orario). Il Cavaliere non era ancora sceso in campo, ma mio padre provava già una certa ostilità per questi palinsesti così scemi, privi di contenuti, ricchi di pubblicità e “oscurantisti”. Sicché il suo “Bravo, rimbambisciti con Berlusconi” rimbombava con una certa frequenza nella mia testolina di infante. Ma, sia lodato il lavoro (degli altri), i suoi rimbrotti latitavano nei lunghi pomeriggi di inizio anni ’90, non interferendo nel mio precoce rincoglionimento cerebrale. Sono cresciuto quindi con un’idea decisamente distorta della realtà.
Ricordo per esempio di aver girato con mia madre una decina di negozi di musica, chiedendo il disco dei Bee Hive.

 
Sì, perché fu Mirko di Kiss me Licia, nonostante il taglio a la Malgioglio, a convincermi a diventare un musicista. Poi vabbè, il fatto che loro siano andati in turnè negli USA e io a Trofarello, non è rilevante.
Sempre in quegli anni mia madre, presa bene dal metodo Montessori e dalla convinzione che sarei diventato come minimo un genio del male, decise di farmi imparare precocemente a leggere. Creò un mostro che perde tempo a leggere/scrivere assurdità, questo lo sapete. A ogni modo, mi aveva comprato dei libroni pieni di immagini su Re Artù, sui pirati e soprattutto sulla mitologia greca (e poi ci si stupisce se mi piacciono il medioevo, il latino, la cedrata e le Tartarughe ninja); quest’ultima in particolare mi entusiasmò particolarmente. Era divertente, coinvolgete e soprattutto politicamente scorretta, roba che già da piccolo mi intrigava. E poi un pomeriggio, su Odeon tv, vidi loro.


Ricordo che una volta, alle elementari, mi causarono numerosi guai, i Cavalieri dello zodiaco. C’è da dire che io all'epoca ero una specie di ragionier Filini dell’intrattenimento pre-puberale: organizzavo gare, giochi e scherzi in gran quantità (e di gran qualità!), la prendevo quasi come una missione nei confronti dei miei amichetti lobotomizzati, che non sapevano divertirsi affatto. Fra le tante iniziative organizzai un torneo per vincere l’Armatura d’oro; ognuno era un cavaliere e blablabla si finiva a darsele di santa (Saint) ragione, perché “solo uno alla fine potrà trionfar”. Il tutto fino a quando Bruno/Fenix non fece uscire il sangue dal naso a Donatello/Crystal, con conseguenti note e punizioni varie.

Gli esempi di quanto i cartoni animati abbiano fatto precipitare la mia vita verso la stigmatizzazione sociale (ma anche verso l’elevazione spirituale) si sprecano. E non sarei nemmeno il primo a parlarne; noi della Generazione Silvio ben conosciamo il fenomeno. Mi sono limitato a questi due casi per un motivo preciso. Mirko di Kiss me Licia e Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco hanno una cosa in comune, oltre l’essere modelli di vita ben superiori ai vari Padre Pio, Lapo Elkann o Linsday Lohan; entrambi sono stati doppiati, in Italia, dal mitico (e quasi mi omonimo) Ivo De Palma, ancora attivissimo nel settore e amato dai fan per la sua disponibilità e per le numerose partecipazioni alle fiere del fumetto di tutta la penisola.

E per qualche bel gioco del fato, una ventina d’anni dopo i nostri destini si sono nuovamente incrociati. Ho inviato il mio libro di poesie a Ivo, che ha mostrato di apprezzarlo realizzando, di sua sponte, questa video-lettura:


Non so che dire, la cosa mi riempie di orgoglio; cazzo, ascoltare Pegasus che nel tragitto fra una Casa e l’altra tira fuori dalla tasca di bronzo il tuo libretto e ne legge qualche verso, non è una cosa da tutti i giorni.

martedì 17 settembre 2013

Rho Fiera Milano


Le turpitudini e laidezze di Trenitalia hanno colpito ancora. Un paio di finesettimana fa mi sono ritrovato a gironzolare per più di un’ora nella stazione di Rho Fiera Milano, causa ritardo del treno con conseguente perdita della coincidenza. 
Già mi era capitato di passarci qualche minuto per interscambi vari.
Ma un’ora intera, di domenica sera per giunta, è un’altra storia, credetemi.
Avete presente i nonluoghi di Augé? Ecco, a confronto di Rho Fiera Milano sono frizzanti convivi di persone bellissime e piene di cose da dire. Innanzitutto, la vita biologica è quasi del tutto bandita. Pochi, isolati individui tendono a concentrarsi sulle banchine lungo i binari. 


Sotto, nel ventre luccicante del mostro, ho avvistato un unico, catatonico, omino della metropolitana, che attraverso il suo gabbiotto scrutava con indole vacua la vetrina dell’unica (e per giunta chiusa) edicola.
No davvero, sembrava di stare in uno di quei film post-apocalittici in cui le macchine hanno preso il potere e soggiogato la razza umana, lobotomizzandola e succhiandone l’energia, o costringendola ai lavori forzati. Non c’era anima viva, eppure tutto era pulito, luccicante, pronto all’uso.


Immagino che parte delle vetrine spoglie accolga gli stand della fiera, in qualche sporadica occasione.
Una marchingegno in particolare ha attirato la mia attenzione, o meglio, un bisogno piuttosto scatologico mi ha fatto notare qualcosa di bizzarro: un bagno automatico.
Funziona a gettoni. Click, 20 centesimi.
Si sente uno scroscio d’acqua, una porta automatica si apre sparendo nella parete.
Un pavimento righettato, in linoleum nero, accoglie generosamente l’acqua del lavaggio automatico mista a liquidi di varia, abissale natura.
La carta esce schiacciando un pulsante. Anche l’acqua per lavarsi le mani.
Si schiaccia un pulsante rosso antipanico (inutile dirlo, l'effetto sortito è l'opposto) per uscire.
La porta ti si richiude roboticamente alle spalle.
Giuro che a ripensarci mi viene ancora la sensazione di essere stato osservato da qualche automa maniaco.
Ho visto anche due disumane biglietterie automatiche, per le tratte regionali. Niente personale ferroviario, capi-stazione, tabelloni con gli orari. Ho girato in lungo e in largo per trovare una macchinetta con snack o bevande, dimentico del fatto che si tratta di bisogni futilmente organici. Niente.


Ho provato a uscire fuori, prendendo un nastro che con la celerità di una veglia funebre mi ha sospinto all'esterno. Mi ha stupito l’assenza di strade. Intendo strade pedonali, insomma, quelle che ti permettono di raggiungere altri luoghi; c'era solo l'enorme cavalcavia di una qualche autostrada, che tiranneggiava alto. Avventurandomi nel parcheggio (deserto) ho scorto una salita di terra battuta che portava a un’enorme quartiere di palazzoni in costruzione.
E ancora oltre, cupo, un circo apparentemente abbandonato, silenzioso. I circhi fanno già abbastanza paura di loro, c’è da dirlo. Preso dall’ansia, tornai nel rassicurante e glaciale opificio robotico.
Pian piano mi abituai all’atmosfera. Quasi rifuggivo quei pochi zombi che di tanto in tanto si immergevano nella stazione, tramite chissà quali cunicoli. Dopo una quarantina di minuti, mi sembrava quasi fosse diventata la mia cristallina Fortezza della solitudine


Poi, d’improvviso, il silenzio che regnava incontrastato fu infranto da una voce sintetica, inespressiva. L’intelligenza artificiale che controllava la struttura (perché sono convinto si tratti di un unico, enorme computer) parlò, a me, solo abitante di quel residuo di macerie abbandonate da Moloch, Azrael, Giuliano Ferrara o chi per loro, annunciando l’arrivo del treno regionale ad alta velocità Milano Centrale – Torino Porta Nuova.
Scosso, presi la via di una delle tante scale mobili e mi riunii al consorzio umano di quelli che viaggiano di domenica sera, pochi ma buoni, infreddoliti e affamati, ma vivi, almeno.

giovedì 5 settembre 2013

Annie Vivanti - "Naja Tripudians" (ossia, "Austen vs. Baudelaire")



E cominciamo, allora, a parlare degli insoliti libelli che ho trovato qualche tempo fa per le vie di un paese semi-sconosciuto del varesotto.
Vi sarete accorti, con quel minimo di raziocinio che senz’altro vi contraddistingue, o omuncoli insignificanti, della mia passione per il latino; avrei mai potuto ignorare, io, un libro dal titolo Naja Tripudians…? Devo essere onesto, mi aspettavo un romanzo riguardante un servizio militare allegro e movimentato. E invece no, Naja Tripudians è il nome scientifico del Cobra indiano, quello che si incanta con piffero, per intenderci; ok, ok, foto:

(Me tapino, dimentico della mia esperienza da lettore fantasy/giocatore di ruolo/nerdone, non ho associato la parola Naja ai Naga, mitologica razza di uomini-serpente della tradizione vedica... Ci potevo arrivare, eh?)

Ebbene, Naja Tripudians è un romanzo del 1920 di Annie Vivanti, scrittrice sui generis di cui ho già avuto modo di parlare, ma su cui senz’altro tornerò in futuro, per le sue peculiarità tanto biografiche quanto letterarie. La storia è semplice: Francis Harding, un medico inglese che in gioventù ha girato il mondo per studiare la lebbra e trovarvi una cura, si ritrova vedovo e con due figlie a cui badare, Myosotis e Leslie. Le ragazze crescono sane e spensierate, coccolate dal padre e dall’atmosfera ovattata della campagna inglese, fino all’arrivo nel loro piccolo paese dell’elegante Lady Randolph e della sua corte di bizzarri viveurs; l’attrazione per la vita cittadina e per le sue voluttà, come un veleno incurabile, trascinerà le due ragazze in un incubo a occhi aperti, ribaltamento dell’idilliaco mondo cortese che si aspettavano dalla capitale.
Questo è tutto, più o meno. Ah, il finale non vi piacerà. Vi conosco. Io sono ancora indeciso se sia una paraculata o un raffinato volo pindarico.
La Vivanti, comunque sia, ha uno stile piuttosto lontano dai suoi colleghi di inizio novecento: tende alla chiarità, non abbonda di descrizioni, affida il proprio magnetismo a modalità ottocentesche (romanticismo, scapigliatura) piuttosto che a virtuosismi modernisti.

"Lasciarono fare a Madre Natura - vecchia levatrice cieca, sorda, pazza e perfida - e quella condusse alla vita, su un fiottolo di sangue, una fragile creatura novella; e spinse alla Morte, sulla stessa onda purpurea, l'altra e più preziosa esistenza".

La materia è piuttosto banale, ma venata di una naïveté coinvolgente: Naja Tripudians parte come un Piccole donne e termina, rocambolescamente, in un À rebours, divisione marcata anche strutturalmente da una (deliziosa) sezione epistolare a metà dell’opera. Come si legano i pittoreschi racconti della vita quotidiana delle due sorelle con il depravato affresco degli ambigui festini londinesi? Semplice: non si legano. È difficile da spiegare… Avete presente Twin Peaks? Ecco, non è molto diverso da quello che fa Lynch quando mescola (agitando, non shakerando) soap opera e horror.
Ora me la tiro un po’; l’edizione in cui ho letto Naja Tripudians è questa: 


Una succosa seconda edizione Bemporad (Firenze) del 1921. Che non credo sia rara o cosa, ma fa figo dirlo. In ogni caso bazzicando on-line ho visto che qualche edizione degli anni ’70 si trova. Sarebbe bello vederne un’edizione nuova, chissà…

…The rest is silence
W. Shakespeare



P.S. Ok, è patetica la citazione finale, ma è in esergo al libro, quei tre puntini di sospensione me l’hanno proprio tirata via dal mouse.