Prendiamola alla lontana.
Nella sterminata congerie delle mie passioni, ossessioni e perversioni svettano
senza particolare ordine: la musica noise-rock anni ’90, la birra artigianale,
l’agiografia latina medievale, la storia, i fumetti, il baccalà, Jimi Hendrix,
Eugenio Montale, le camicie, i supereroi, gli horror, Dante Alighieri, la
mortadella, il Big Muff, i robottoni giapponesi, le Tartarughe ninja, Emilio
Salgari, i mocassini, Jerry Calà, Ernest Hemingway, Alborosie, il vino, i
corvi, Lucano, i film di kung fu, il sesso, la Scuola poetica siciliana, il
brigantaggio, la lingua tedesca, la Secessione viennese, i polizieschi italiani
degli anni ’70, gli zombi, Truffaut, il medioevo, la trippa, Praga, i mostri
giganti, Darwin, la Lemonsoda, la mitologia, le melanzane, Nietzsche, Joyce, il
caffè, la poesia e il Napoli.
Ora, per farmi felice
parlatemi di uno qualsiasi di questi argomenti, possibilmente senza indossare
un camice mentre mi mostrate strane macchie nere su fogli di carta. Bene,
qualche volta, per una serie di strane congiunzioni astrali, è possibile
mandarmi in brodo di giuggiole, grazie all’antico e venerando rito della “combo”.
Ordunque, Pacific Rim è
una di queste cose: non è forse il sogno di ogni persona (ogni persona sopra i
vent’anni con problemi di socialità e/o di discernimento fra realtà e fantasia –
mi rendo conto, è un po’ restrittivo, del resto il mio è un pubblico molto
selezionato) un film dove enormi robottoni prendono a pugni e calci (e
cannonate al plasma, spadate e portaereate) altrettanto mastodontici mostri
venuti da chissàddove?
Guillermo del Toro è
riuscito a tenere insieme il bizzarro collage, costruendo intorno a una trama
lineare e perfettamente hollywoodiana una storia coinvolgente e immersa in un
mondo affascinante. Siamo in un futuro prossimo in cui la terra è vittima di
attacchi sempre più frequenti da parte dei Kaiju, che poi sarebbero quei
mostroni giapponesi stile Godzilla o Rodan; questi provengono da un altro universo,
collegato al nostro attraverso una faglia situata nelle profondità del pacifico. Poi
blablabla, la razza umana si ricorda di Go Nagai e inizia a costruire robottoni
giganti per sconfiggere gli invasori grazie al kung fu.
Si, la trama è più o meno
questa, non c’è da girarci troppo intorno. Ma del Toro, l’abbiamo detto, sa il
fatto suo, e costruisce un universo narrativo credibilissimo, senza cedere alle
facili tentazioni del post-apocalittico, attingendo a piene mani dall’immaginario
estetico dell’estremo oriente, pur in un quadro di valori schiettamente occidentale.
I personaggi sono stereotipati quanto basta per affezionarcisi subito, senza
troppi fronzoli, e senza perdere tempo in inutili pipponi introspettivi a cui
ormai Hollywood ci ha abituati (si Nolan, sto parlando proprio con te): bastano
un gesto o una frase a reggere il gioco dei ruoli. I rapporti interpersonali
sono appena abbozzati, ma mai banalizzati, e anzi strutturalmente fondamentali:
in particolare, lo schema si basa sul concetto di coppia, che si moltiplica nelle
numerose endiadi presenti nel film e si riverbera su diversi piani del
discorso narrativo.
Trama ben gestita e
diegesi dall’enorme fascino estetico, dunque. Ma il vero motivo per cui Pacific
Rim non è il solito, consunto filmone americano con botte ed esplosioni è la
regia: montaggio eccezionale e ritmi amministrati con sapienza, un prologo
delizioso e che immerge subito nell’atmosfera, inquadrature suggestive (anche piuttosto
lontane dai canoni fantascientifici), nessuno scialacquamento o sbrodolamento
barocco (Sneyder, so che mi leggi. Questa era per te). Un esempio su tutti è l’efficacia
con cui del Toro introduce l’elemento onirico, cosa a cui ci aveva abituati già
nel bellissimo Il labirinto del fauno (anche questa è per te, Christopher, 2-1!).
Va bene, forse come
sempre ho esagerato nell’andare a scavare. Forse è solo l'entusiasmo post-visione. Forse il film è davvero la solita burinata a stelle e strisce,
con in più solo un po’ di robetta giapponese che a noi ex-fanciulli cresciuti
negli anni ‘80/’90 piace tanto.
Però, vivaddio, stiamo pur sempre
parlando di:
+
+
Cazzo, un sogno.