Le turpitudini
e laidezze di Trenitalia hanno colpito ancora. Un paio di finesettimana fa mi
sono ritrovato a gironzolare per più di un’ora nella stazione di Rho Fiera
Milano, causa ritardo del treno con conseguente perdita della coincidenza.
Già
mi era capitato di passarci qualche minuto per interscambi vari.
Ma un’ora intera, di
domenica sera per giunta, è un’altra storia, credetemi.
Avete presente i
nonluoghi di Augé? Ecco, a confronto di Rho Fiera Milano sono frizzanti convivi
di persone bellissime e piene di cose da dire. Innanzitutto, la vita biologica
è quasi del tutto bandita. Pochi, isolati individui tendono a concentrarsi
sulle banchine lungo i binari.
Sotto, nel ventre luccicante del mostro, ho
avvistato un unico, catatonico, omino della metropolitana, che attraverso
il suo gabbiotto scrutava con indole vacua la vetrina dell’unica (e per giunta
chiusa) edicola.
No davvero, sembrava di
stare in uno di quei film post-apocalittici in cui le macchine hanno preso il
potere e soggiogato la razza umana, lobotomizzandola e succhiandone l’energia,
o costringendola ai lavori forzati. Non c’era anima viva, eppure tutto era pulito,
luccicante, pronto all’uso.
Immagino che parte delle
vetrine spoglie accolga gli stand della fiera, in qualche sporadica occasione.
Una marchingegno in
particolare ha attirato la mia attenzione, o meglio, un bisogno piuttosto
scatologico mi ha fatto notare qualcosa di bizzarro: un bagno automatico.
Funziona a gettoni.
Click, 20 centesimi.
Si sente uno scroscio
d’acqua, una porta automatica si apre sparendo nella parete.
Un pavimento righettato,
in linoleum nero, accoglie generosamente l’acqua del lavaggio automatico mista a
liquidi di varia, abissale natura.
La carta esce
schiacciando un pulsante. Anche l’acqua per lavarsi le mani.
Si schiaccia un pulsante
rosso antipanico (inutile dirlo, l'effetto sortito è l'opposto) per uscire.
La porta ti si richiude
roboticamente alle spalle.
Giuro che a ripensarci mi
viene ancora la sensazione di essere stato osservato da qualche automa maniaco.
Ho visto anche due disumane
biglietterie automatiche, per le tratte regionali. Niente personale ferroviario,
capi-stazione, tabelloni con gli orari. Ho girato in lungo e in largo per
trovare una macchinetta con snack o bevande, dimentico del fatto che si tratta
di bisogni futilmente organici. Niente.
Ho provato a uscire
fuori, prendendo un nastro che con la celerità di una veglia funebre mi ha sospinto all'esterno. Mi ha stupito l’assenza di strade. Intendo strade
pedonali, insomma, quelle che ti permettono di raggiungere altri luoghi; c'era solo l'enorme cavalcavia di una qualche autostrada, che tiranneggiava alto. Avventurandomi nel parcheggio (deserto) ho scorto una salita di terra
battuta che portava a un’enorme quartiere di palazzoni in costruzione.
E ancora oltre, cupo, un circo apparentemente abbandonato, silenzioso. I circhi fanno già abbastanza paura di
loro, c’è da dirlo. Preso dall’ansia, tornai nel rassicurante e glaciale
opificio robotico.
Pian piano mi abituai all’atmosfera.
Quasi rifuggivo quei pochi zombi che di tanto in tanto si immergevano nella
stazione, tramite chissà quali cunicoli. Dopo una quarantina di minuti, mi sembrava
quasi fosse diventata la mia cristallina Fortezza della solitudine.
Poi, d’improvviso, il
silenzio che regnava incontrastato fu infranto da una voce sintetica, inespressiva. L’intelligenza artificiale che controllava la
struttura (perché sono convinto si tratti di un unico, enorme computer) parlò, a me, solo abitante di quel residuo di macerie
abbandonate da Moloch, Azrael, Giuliano Ferrara o chi per loro, annunciando
l’arrivo del treno regionale ad alta velocità Milano Centrale – Torino Porta
Nuova.
Scosso, presi la via di
una delle tante scale mobili e mi riunii al consorzio umano di quelli che viaggiano
di domenica sera, pochi ma buoni, infreddoliti e affamati, ma vivi, almeno.