martedì 21 ottobre 2014

Nuovo libro, nuova corsa!

'Nsomma, è passata l'estate e io non è che mi sia fatto troppo sentire nel frattanto. Però, giuro, mi sono dato da fare! E la prova è questa: ecco il mio nuovo libro!


Mi avete letto e supportato molto con il vecchio, ve ne ringrazio molto; ma adesso vi chiedo, se possibile, qualcosina in più! Ho infatti optato per l'auto-pubblicazione in e-book. Mania di onnipotenza, si, mi conoscente bene; ma è anche a fin di bene: potete averlo per meno di un euro (salvo promozioni, nel qual caso manco stiamo a contare i ramini)! Potete trovare il mio "Gli Dei muoiono di fame" (eccerto, che volevate per caso un titolo ottimista?) su Amazon, a questa pagina! Come sempre vi chiedo di condividere e diffondere il più possibile questa mia nuova creatura: fatemi sapere se vi piace, se volete collaborare in qualche modo, se volete che la presenti dalle vostre parti...
Ah, novità novità! Ho pure un sito vero, per darmi un tono! Questo, per la precisione! Seguitelo, o seguite la pagina Facebook del libro, per rimanere aggiornati riguardo eventi e presentazioni!

mercoledì 23 luglio 2014

Narratio - M1 (parte IV)




[Qui la prima parte]

Ero di nuovo solo, seppure fra mille, fagocitato dal volgo multietnico, imbottito di tanfo, disgusto, rumori, desideri diversi che cozzavano fra loro annullandosi a vicenda. Il Moloch proseguiva nel suo viaggio verso l’apocalisse, che poi era l’inizio del turno di lavoro o l’appuntamento con l’amante o la partita di calcetto (a quest’ora del mattino, poi…!?) o le commissioni mattutine, senza pietà per niente e per nessuno, sì, giusto, in effetti sembravamo quella stampa del Leviatano, un re baffuto il cui corpo è composto da centinaia di omini stile exogini; fu in quel momento che mi accorsi che la Bestia mi parlava, era viva, mi trasmetteva i suoi pensieri attraverso il linoleum o cosa diavolo fosse quella roba plasticosa per terra, me li trasmetteva attraverso la sbarra rossa in cui ero conficcato, attraverso il sibilo delle rotaie e l’intermittenza delle luci, “Ascoltami, messaggero”, mi disse, e mi ritrovai improvvisamente nel vuoto, assorbito da quella voce penetrante e demoniaca. Ero pietrificato intorno al mio palo, che ora fluttuava nel buio più assoluto. Il treno aveva la voce di Richard Benson o di Belzebù, non riuscivo bene a capire, ma parlava una lingua aliena, eppure profondamente mia, che più o meno tradotta in italiota esprimeva qualcosa del genere: “So che tu sai, oh briciola di esistenza, che il mondo si avvicina alla fine. Li vedi i tuoi simili, che sudano e leggono “Chi” e guardano Barbara D’Urso? Li ascolti mentre parlano di Sanremo e dello Spread, mentre leggono Proust, Moccia e Petronio? Loro non sanno, tu sai. Loro si distraggono, tu sai cogliere i segnali che vi mando ogni giorno. Presto sarà tutto finito, non frenerò più, mi avvierò verso il moto perpetuo e finalmente vi trasformerò in energia”. Le sue vibrazioni/parole presero la forma, nei miei pensieri, di un pollo, un mistico pollo fosforescente, forse per colpa dell’influenza dell’Avatar Benson. Il pollo mi indicò col suo becco-evidenziatore la strada per tornare alla (in)coscienza della carrozza della metro. Dopo poco mi trovai di nuovo in mezzo alla bestiale compagnia degli altri umani, ma non riuscivo più a vederli allo stesso modo, sapevo che saremmo tutti finiti, fra non molto tempo. Ero diventato un cavaliere dell’apocalisse, un araldo puzzolente incompreso, sì, queste sarebbero state le mie origini in un qualche fumetto americano di supereroi, che poi ci avrebbero fatto il film tradendo la lettera dell’originale e tutti giù a criticare… Quel momento così uguale a tutti gli altri mi avrebbe regalato una nuova vita. Ma era ancora presto, l’ennesima palingenesi stava per abbattersi sulla nostra rugginosa carrozza.

[Continua...]

sabato 31 maggio 2014

Giovani e poesia



 [Ecco, forse lui era un po' troppo giovane...]

Da giovane appassionato di poesia e aspirante vate dei popoli e delle nazioni, mi interrogo spesso su come vadano le cose nel magico mondo dello scrivere in versi. Non che mi paghino per farlo eh, sia chiaro. Anzi, vi dirò, fra tutti i possibili temi da affrontare, quello dei soldi è il meno interessante. La poesia non si è mai venduta, non si comincerà certo adesso. E, tutto sommato, anche le bagarre sul self-publishing, sull’editoria a pagamento, sulle agenzie letterarie, sul crowdfunding mi annoiano abbastanza.
La percezione che la gente ha della poesia, invece sì, mi interessa; non tanto per fare il pop a tutti i costi, ché come sapete proprio non mi si attaglia, quanto piuttosto per capire su quale pianeta sono, e in quale tempo. Nemmeno lo scrittore più trascendentale può sottrarsi a questo collocarsi nel mondo, pena una sorta di autismo spacciato per autoreferenzialità mallarmeana.
Ecco, in questi due anni, muovendomi timidamente in un mondo che non conoscevo, quello dei poeti e dei critici, ho capito che anche la poesia è dominata dai vecchi. No no, non comincio con robe sulla rottamazione, sul “mandiamoli a casa” e cose simili, anche se ormai i blog famosi fanno soprattutto cose del genere. Anche perché, tutto sommato, la poesia si porta dietro un’aura di venusta solennità, se non da sempre almeno da quando, alle elementari, non compare sul sussidiario il faccione ipotetico di quell’orbo vecchiardo di Omero. E questo non è un male. La poesia è conservazione, è ricordo, è discendenza, e forse proprio l’eccesso del “nuovo” ha, a un certo punto, fatto scricchiolare il tutto. Eppure, se penso alla poesia, la prima immagine che mi sovviene non è quella di Berlusconi assistente geriatrico; è piuttosto quella di un bambino in piedi sulla sedia che recita filastrocche sul Natale, o quella di un sedicenne scapigliato (nel senso di spettinato, eh) che si strugge per una tizia vista in un bar… Quello che è cambiato, evidentemente è a questo livello. La poesia era una ragazzata, un gioco. Nel bene e nel male, sia chiaro: era una cosa non redditizia e non seria, quindi un po’ inutile e deprecabile, ma sapeva di fresca ingenuità, di genuina espressione, di interesse disinteressato.
Lo so, adesso pensate che stia per partire un pistolotto nostalgico sul mondo che fu, sui treni in orario, sulle bonificazioni dell’Agro Pontino e roba di questa risma. No. Non è che ci siamo di colpo tutti rimbecilliti, e non è vero che io sono il giovane salvatore poeta del nuovo millennio (cioè, questo un po’ è vero, ma non ditemelo troppe volte che poi arrossisco). I giovani non sono più interessati alla poesia perché ci sono tante nuove forme sintetiche e simboliche d’espressione, che si integrano meglio con la nostra vita, virata verso la semplificazione tecnologica e l’interconnessione. Niente di male, se non fosse che la poesia non è sostituibile al 100% con Twitter, con i cori da stadio, con la Pausini e con gli slogan pubblicitari; lo è, forse, per una buona parte, ma rimane una fetta di significazione che non può esservi trasferita: è la difficoltà. Il confronto con la complessità, con il multiforme, con i limiti e con le scalate del pensiero, delle emozioni, della lingua, queste sono le componenti che solo la poesia, fra i mezzi di comunicazione sintetico-simbolici, può raggiungere.
Non temiamo, dunque, la complessità, la profondità; non facciamoci schiacciare da un mondo così complesso da farci sfuggire nell’immediato, nel semplice, nel già dato. Non arrocchiamoci in posizioni di sicurezza, di coerenza, di pace: tentiamo il verso, che poi si cucca anche abbastanza.

Tutto ciò per dire che c’è ancora una settimana per partecipare alla selezione per poeti under-30 indetta da CFR edizioni: verranno scelte fino a 12 raccolte da pubblicare entro l’autunno del 2014. Finora le adesioni sono state misere (io parteciperò con una nuova raccolta, di cui avremo modo di parlare…), facciamoci sentire! Qui il link con il bando alla selezione, che è stata prorogata fino all’8 giugno.
Dunque trascrivete dai vostri bravi diari di scuola, dai vostri blog, dai vostri cassetti più reconditi e provateci!

martedì 15 aprile 2014

Sono l'idolo di me stesso a sedici anni.

[...ma io ero più grasso e castano]


No, che poi uno finisce pure per “sentirsi in colpa” (per cosa? Verso chi? A che pro?) a non scrivere da un po’ sul blog. Bisogna non avere niente da fare per trovare il tempo. Ma non un “niente da fare” qualsiasi, un “niente da fare” di classe, di quelli che ti gusti nella piena consapevolezza dell’inutilità del momento. Poi sto lavorando a una nuova raccolta di poesie, quindi mi viene da fare le allitterazioni, che ce lo diceva già Cicerone che è una cosa che non si fa nella prosa; tanto quanto in M1 si può indulgere, ma in queste robe qui pseudo-esistenziali no. Peraltro, rileggendo, noto un indebito abuso di virgolette e diacritici vari, che mi fa un po’ incazzare. Devo riprenderci la mano.
Ma veniamo a noi.
L’altro giorno, mentre ero a correre con un amico (ok ok ok. Qui si apre una parentesi non da poco. So che è ridicolo. Me lo dico ogni volta che mi vedo con le scarpe da ginnastica. Però voglio mangiare e al contempo non imbolsirmi più del dovuto, e non mi ci vedo in versone bulimico… Comunque se sul lungo Po vedete uno tipo il Pinguino di Batman tutto sudato e ansante, sono io), ci siamo resi conto di una cosa. Se esistessero i viaggi del tempo, saremmo gli idoli di noi stessi sedicenni.
Mi spiego meglio: a sedici anni sognavo la musica, la letteratura e le donne. Ero tipo un buffo personaggio uscito da Vol. I di Brunori, per intenderci. 


Ecco, a sapere che avrei scritto un libro, che avrei suonato su bei palchi e registrato pure qualcosa di buono, che mi sarei brillantemente laureato in robe intellettualoidi, che mi sarei fidanzato con una figa (intellettualoide pure lei, per giunta), sarei impazzito di gioia, mi sarei un sacco stimato, mi sarei messo addosso una maglietta con me stesso ritratto sopra.

In questi dieci anni, purtroppo, sono sopraggiunte deliranti paranoie su crisi, lavoro, realizzazione, soldi… Tutte cazzate! Ma tenetevelo voi il lavoro serio! Sono l’idolo di me stesso sedicenne, serve altro?

martedì 8 aprile 2014

Carmen - "Strega di Agarthi..."

 [D. G. Rossetti, "Giovanna d'Arco", 1882]


Strega di Agarthi
regina del mondo
sei demonio con occhi di lampo
Lamia, Lamù
malia dei Malebranche
nenia rubicante
allappante sensazione
di metrica claudicante

la tua pesca ineffabile
da sublime Graffiacane
ficcante filtro
d’amore o marijuana
insana
nel tuo splendere e sparire
nel morire
come martire incivile.


Questa e tante altre poesie sceme su Ergasterium, la mia pagina facebook!

giovedì 13 marzo 2014

Carmen - "Ti giuro foedus, un foedus eterno..." (+ certamen!)

 [G. Amisani, "Cleopatra lussuriosa", 1900]


Qui di seguito la mia ultima composizione. Ho cercato di seguire la scia dei miei ultimi lavori, costruendo un pastiche retoricamente sostenuto, traendo materiali principalmente da tre opere preesistenti. Facciamo così, quello fra voi che azzecca più riferimenti (su Ergasterium - limando le parole ci sono già degli indizi) vince un negroni e magari pure una copia del mio libro "Dalla parte di Huàscar" (fossi in voi preferirei il primo, ma gli intellettuali siete voi...)!


Ti giuro foedus, un foedus eterno
oh Diana pelle d’ambra
che all’ombra del vestibolo
stabuli, fra bestie e speranze vane.
Lo gridi cento, mille volte a sera
lo sdegno verso il consorzio borghese
ma disperata, come una preghiera:
sparpagli la nebbia che t’attanaglia
la rabbia che t’ingabbia nel tuo ghetto
il gretto rumore dei tristi vecchi.

Ma cento, mille, ventiquattromila
baci concedimi ora,
bugie meravigliose
odiose illusioni d’appartenenza
 l’Essenza, in questo giorno di follia,
perché il sole è alla forca, ma domani
monderà nuovamente la finzione;
l’unzione delle mie labbra s’impone
(guiderdone per un rito sì grande)
io t’appartengo, ci tengo, prometto.

Non è la raia offerta sul tuo altare
o altro animale di mare o di terra,
ma tetro olocausto umano, vitale.

martedì 11 marzo 2014

Carmen - "Cerco l'Ircocervo..."

G. Cagnacci, "Allegoria della vita umana", 1650


Cerco l’Ircocervo
il vortice di opposti
il coacervo
di virtù e vergogne
le carogne
di dei e di schiavi
il vischioso miscuglio
di demoni, monadi
e idoli di youtube
il vitello d’oro
l’Uroboro
il mondo che si morde la coda
- dedalo di idiozie -
bramosie
di possedere l’Uno
e il Tutto.



Questa e tante altre poesuncole sulla mia nuova pagina Facebook Ergasterium; lì pubblico (e ospito, qualora lo vogliate!) esperimenti, riflessioni, ripensamenti, etc... Seguitela e condividetela, amici!

sabato 22 febbraio 2014

Narratio - M1 (parte III)




[Qui la prima parte]
 
Fra la prima e la seconda fermata feci amicizia telepatica con un cinegro che mi si era infilato fra le costole. Cinegro è una parola bellissima, non pensate male. Si usa nello slang suburbano, tutto qui, i miei genitori sessantottini non avrebbero approvato, è vero, ma loro non erano lì con me, e anche se ci fossero stati avrei dovuto aver superato l’età della ricerca dell’approvazione dei miei comportamenti da parte dei miei genitori – trionfo del genitivo – e dunque poche balle. Era molto simpatico, in ogni caso, aveva studiato medicina ed era venuto a vendere rose e bottiglie di birra; viveva ammassato in un monolocale con altri tre connazionali, tre altri membri dell’utopica nazione di cinegria, in cui rose e bottiglie di birra sono venerate come dee. Non gli dispiaceva tanto quella vita, alla fine qui aveva la speranza di diventare ambasciatore di cinegria e prendere il tè con gli altri ambasciatori, che da che mondo è mondo come attività principale hanno quella di prendere il tè; nel paese da cui proveniva erano tutti poveri, e ‘sto cazzo che lui ci credeva a quelli che dicevano che tanto qui in Italia è peggio, che loro immigrati avrebbero fatto la fame e che sarebbero stati sfruttati. Meglio questo che la morte. Fra le mie costole si trovava molto bene, suppongo, ero quasi indeciso se fargli pagare o meno qualcosa di affitto, non so, anche solo una birra delle sue o un check up medico, data la sua Bildung. Gli proposi, sempre tramite la telepatia, di aprire uno studio medico ambulante a poco prezzo, chessò, un euro o due, a offerta libera, o come dicono oggi gli alternativi hipster dimmerda, “up to you”. Sembrò interessato, peccato non avere avuto un notaio lì intorno per formalizzare il nostro accordo e iniziare il business. La sua fidanzata era rimasta in cinegria, quindi si era dovuto trovare una donna sostitutiva, si chiamava Luna ed era abbastanza brutta, cicciottella, ma per quello a cui serviva andava piuttosto bene. Mentre mi raccontava questo, avrei voluto chiedergli di spostarsi un po’ più in là, perché per quanto figo non ero ancora ai livelli di Cristo, quindi non sopportavo molto le perforazioni del costato e, con tutto il rispetto per il mio nuovo amico, non mi sembra nemmeno paragonabile alla leggendaria lancia di Longino. Però non lo feci, perché mi vergognavo, chennesò io che in cinegria queste robe non siano ritenute profondamente offensive. Poi ormai ero una specie di suo scudiero, lo avrei accompagnato in giro per il mondo, era meglio non incrinare i nostri rapporti, meglio incrinare la mia costola. Le luci scorrevano liete. Poi Iddio ci mandò un’altra mezza apocalissi, facendo tremare tutta la metro. Si stava avvicinando un’altra, esiziale fermata. Io ero abbastanza al sicuro, stavolta non sarei stato calpestato tutti, né trascinato nell’oblio più assoluto. In quella fugace primavera della vita, mi sentivo felice, col mio nuovo amico subaffittuario. Le porte si aprirono, i sigilli si ruppero, specie si estinsero e altre nacquero. Una mandria ci passò accanto. Disgraziatamente, afferrò il mio amico, sradicandolo dal mio tronco ormai assuefatto e frantumandolo nella massa informe. Ripresi a respirare, questo fu bene, ma soffrii incredibilmente, senza quella parte di me, senza il mio amico telepatico. Provai ad allungare una mano, a salvarlo, lui piangeva, io pure, quasi. Gridai verso di lui, come Atreiu gridò per Artax quando questi si lasciò precipitare per disperazione nella Palude della Tristezza. Aveva perso anch’egli la speranza.

[Continua qui]

mercoledì 19 febbraio 2014

Narratio - M1 (parte II)



[Continua da qui]

In quelle condizioni poteva essere molto difficile, se non impossibile, mantenere l’equilibrio. L’impari lotta fra i ragazzini delle medie e l’accelerazione della metro (in favore, inaspettatamente, dei primi) mi spingeva in direzioni mai esplorate da un paraocchialuto come me: l’incavo fra sedili e portelloni d’accesso, lo snodo di impegolata plastica fra i vagoni, l’inconsistente anello d’aria intorno ai pali. Sembrava una di quelle scene da documentario, dove frotte di viscidi serpenti si ingarbugliavano tutte per la stagione degli accoppiamenti, ma senza il relativo rilassamento post-orgasmo, anzi, vittima di un senso di inadeguatezza da non-oviparo; fuori, nel regno dell’Uomo Talpa, le rade luci di emergenza saettavano in direzione contraria alla nostra, a intervalli abbastanza regolari, e scandivano il nostro nuovo, personalissimo, tempo. Non portavo già da tempo l’orologio, ma lì non mi sarebbe comunque servito, come non mi servivano più le braccia o le gambe, ridotto com’ero a una spira fra le spire. A ogni modo le luci correvano veloci, ormai non doveva mancare troppo, ma mi accorsi di essere esattamente a metà fra un centinaio di abominevoli mutanti in dirittura d’arrivo e i portelloni. Non volevo essere inghiottito, né scendere così, per imbelle spirito emulativo, alla prima stazione (non che ricordassi, lì per lì, la mia destinazione), né tantomeno volevo assecondare il flusso limaccioso, uscire e poi rificcarmi a forza nella scatola mortale insieme a migliaia di altre sardine eviscerate. Dovevo farmi forza, ricordare gli insegnamenti del mio maestro, Splinter, lui sì che ne capiva di luoghi bui e sotterranei, di tunnel inesplorati dall’uomo, manco era un uomo, in effetti, ecco, lui mi avrebbe detto che quelli lì non esistevano, i mutanti intendo, che erano illusioni, che l’ostacolo ero io, proprio io, e dovevo annullarmi, dovevo sparire, assecondare con l’impalpabilità delle mie carni l’orda famelica, come contro una raffica di vento, mettermi di lato, farmi sottiletta Kraft, aerodinamicizzare il mondo intorno a me. Fu un disastro. La mia circonferenza ventrale è notevole. I trucchetti da ninja funzionano solo con le tartarughe o con quelli magri. Fui calpestato, sbranato, eroso, sgonfiato, sfibrato, stracciato, gettato giù – per un attimo, aria vera, pura – poi issato nuovamente su, impalato in una macabra lap dance di orrore, fatto addormentare e risvegliare, giusto in tempo per vedere le porte chiudersi e una nuova generazione di subumani circondarmi con i loro aliti tremebondi.


[Continua qui]